Enigma dei Pelasgi e degli Etruschi, Albanesi

I Pelasgi, un popolo antichissimo, gli antenati di tutti i popoli indoeuropei, furono un popolo che seppe illuminare e insegnò la cultura all’Europa, di loro si conosce poco, o meglio dire quasi nulla.

I’alfabeto di questo popolo misterioso si chiama Pelasgico poiché a quella civiltà risale, DIODORO il SICULO ci informa che i poeti preomerici si esprimevano proprio con quell’alfabeto, e dalla stessa fonte, apprendiamo che, almeno 10 secoli aC. Si usava quella stessa scrittura. Inoltre Diodoro riferisce che furono i Pelasgi a portare per primi l’alfabeto in Italia, nonche’ nel resto dell’Europa, praticando opportuni adattamenti e migliorie.

Anche Plinio il Vecchio conferma le informazioni di Diodoro.

Virgilio (Eneide, VIII, V. 62-63), scrive:

“Si dice che i primi abitatori della nostra Italia furono i Pelasgi”.

Dagli autori dell’antichita’ abbiamo appreso che prima dell’arrivo dei Greci, il terrotiorio dove si stabilirono si chiamava Pelasgia, Le varie fonti ci informano inoltre, che i Greci impararono dai Pelasgi non solo l’arte della lavorazione dei metalli, della costruzione delle mura, ma appresero, perfezionandolo, il loro modo di scrivere e facendo proprie le loro divinità.Varie popolazioni, specie quella pelasgica, hanno dato al paese il loro nome

Pausania (Arcadia, Libro VIII, 1,4,6)

“Gli Arcadi dicono che Pelago fu il primo a nascere nella terra dell’Arcadia. Dato che Pelago divenne re, il paese si chiamò Pelasgia in suo onore”

Pindaro (Carminia, Fragmenta Selecta, I, 240)

“Portando un bel dono, la Terra fece nascere per primo l’essere umano nell’ARCADIA, il “DIVINO PELASGO”, molto prima della luna”

La citazione di Pindaro potrebbe apparire valida solo come ispirazione poetica, forse perfino mitologica, però malgrado cio’, scienziati posteriori hanno dimostrato che la luna e’ un frammento staccato dal nostro globo.

Omero menziona i Pelasgi fra gli alleati dei Troiani, (Illiade, II, 840-843) e narra che Achille pregava lo “ZEUS PELASGICO DI DODONA” (Iliade, XVI, 223). Omero li menziona anche come “POPOLI di CRETA” , (Odissea, XIX, 177).

Lo storico Eforo riferisce di un brano di Esiodo che attesta la tradizione di un popolo dei Pelasgi in Arcadia e sviluppa la teoria che fosse un popolo di guerrieri diffusosi da una “patria” che aveva annesso e colonizzato tutte le regioni della Grecia in cui gli autori antichi fanno cenno a loro, da Dodona a Creta alla Triade fino in Italia, dove i loro insediamenti sono ben riconoscibili ancora nel tempo degli Elleni e sono in stretta relazione con i “Tirreni”.

La caratteristica struttura della muratura della cittadella di Atene ha fatto si che tutte le costruzioni in blocchi non squadrati e senza l’uso di malta abbiano avuto il nome, di “muratura pelasgica” esattamente come talvolta sono dette “mura ciclopiche”, cioè costruite dai Pelasgi, coloro che insegnarono ai greci i metodi delle costruzioni, il modo di scrivere e la cultura.

dodona

(una fantastica veduta di Dodona, forse il centro dei Pelasgi)

Potremmo continuare all’infinito con citazioni sui Pelasgi, per terminare ad ogni modo e sempre che le civiltà in generale cominciano con i Pelasgi, ma la domanda principale che sorge a questo punto è : Esistono ancora i Pelasgi? Se si, chi sono?

Nermin Vlora Falaski, nel suo libro “Patrimonio linguistico e genetico” (scritto anche in lingua italiana), ha decifrato iscrizioni Etrusche e Pelasgiche con la lingua odierna Albanese. Questo indicherebbe che gli Albanesi (Discendenti degli Illiri) abbiano molto in comune con i Pelasgi, una delle più antiche stirpi che popolò l’Europa. Qui di seguito proporremo alcune traduzioni di Falaski:

Dunque, in Italia esiste la località dei TOSCHI (la Toscana), così come i Toschi abitano nella “Toskeria”, nell’Albania meridionale.

Nota: Molti autori sostengono che la parola Tosk, oppure Tok, sia il sinonimo di DHE, tanto che oggi in albanese si usa indifferentemente la parola DHE che quella TOK per dire “terra”.

In Toscana si trova un’antichissima città, verosimilmente fondata dai Pelasgi, che si chiama Cortona, (Nota, in Albanese: COR=raccolti, TONA=nostri, cioè “i nostri raccolti”). Dalla vasta e fertile pianura della Val di Chiana si accede a una rapida collina, in cima alla quale si trova un bellissimo castello, trasformato in museo archeologico. In mezzo ad un grosso patrimonio epigrafico, vi è anche una iscrizione particolarmente bella e interessante, su un sarcofago con addobbi floreali.

Su questo sarcofago appare la seguente scritta:

oania

Nermin Vlora Falaski tradusse questa scritta pelasgica semplicemente con la lingua Albanese:

6

“La nave è per noi fierezza, coraggio e libertà”

La voce verbale â o âsht (in Italiano è) si usa ancora nel dialetto dell’Albania settentrionale e nel Kossovo, mentre nel sud e nella lingua ufficiale, che è quella dei Toschi, si impiega la voce ësht.

Le varie fonti ci informano che i Greci impararono dai Pelasgi non solo l’arte della lavorazione dei metalli, della costruzione delle mura, ma appresero, perfezionandolo, il loro modo di scrivere e fecero proprie le loro divinità, come per esempio DE-MITRA (Dhe=terra Mitra=utero, cioè la DEA MADRE TERRA), nonché AFER-DITA(Afer=vicino, Dita=Giorno, più tardi chiamata Venus dai Romani, oggi Venere).

I Pelasgi, che furono chiamati anche “Popoli del mare”, poiché erano abili e liberi navigatori, chiamarono ILIRIA (ILLYRIA per i Romani) la loro patria: LIRI (LIR=libero), che voleva dire: “Il Paese del popolo libero”, paese che si estendeva dal Mediterraneo fino al Danubio.

Parole con la radice Lir la troviamo con lo stesso significato nelle seguenti lingue:

Pelasgo-illirico(liri), Etrusco(liri), Albanese odierno(liri), Italiano(libertà), Francese(libertè), Latino(libertas), Inglese(liberty), Spagnolo(libertad), Romeno(libertade), Portoghese(liberdade).

In italia, e precisamente nel Lazio, esiste il monte Liri, nonché il fiume Liri, e Fontana Liri.

Questo nome è stato conservato durante i secoli nei vari paesi Europei Mediterranei, molto probabilmente attraverso la “irradiazione” delle varie tribù illiriche, come gli Etruschi, i Messapi, i Dauni, i Veneti, i Piceni, etj, Ognuno di questi nomi ha un significato nella lingua Albanese:

E TRURIA(E=di, TRURIA= Cervello, paese di gente con cervello), MESSAPI (MES=ambiente, centro, HAPI=aperto, paese di gente aperta), DAUNI (dauni, separati, separatevi), VENETI (nome derivante dalla dea VEND, patria, luogo per eccellenza), PICENI (PI=bere, KENI=avete, luogo con acqua abbondante).

Il nome Pelasgi si può riferire alla parola Albanese PELLG (mare profondo), come in italiano “pelago”.

Questa è un’iscrizione illirica postumata, datata tra il III-II secolo a.C, che attualmente si trova nel museo archeologico di Durazzo, in Albania:

“Sopporta il tuo dolore e piangi se ti aiuta, però affidalo alla terra calda, alla Grazia Celeste e al Supremo Bene”

È importante notare che il linguaggio di questa iscrizione è talmente simile all’Albanese odierno, che con difficoltà si può pensare che risalga a più di duemila anni fa.

In generale, le iscrizioni più antiche si presentano formulate da destra a sinistra e continuando talvolta da sinistra a destra, cioè in forma bustrofedica, e spesso senza interruzione tra una parola e l’altra. Però questo documento di Durazzo è stato inciso da sinistra verso destra, ciò che dimostra la sua origine più recente, quando l’alfabeto latino, molto più pratico, si era già affermato e ormai si scriveva sempre da sinistra verso destra.

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Andando alla ricerca di nuove iscrizioni, dall’Egeo all’Atlantico e casualmente in Egitto ed oltre, non solo nel tentativo di scoprire il loro contenuto, ma anche per verificare la monogenesi delle lingue che viene sostenuto da eminenti studiosi, nel Museo Archeologico di Atene è stata incontrata una stele molto antica che contiene un’iscrizione bustrofedica redatta con l’alfabeto dei Pelasgi ed è di contenuto funerario. Questa stele è stata scoperta nell’isola di Lemno e, in generale, viene considerata molto difficile e poco convincente ogni tentativo di comprendere il contenuto di quella scrittura. Ed è per questo che fino ad oggi pochi si sono seriamente impegnati a sciogliere quell’enigma. Cominciamo mostrando questa Stele di Lemno, attribuita al VI secolo a.C. (ma da alcuni qualificati studiosi ritenuta anche più antica):

Però, osservando con attenzione l’iscrizione, fin dalle primissime parole, si nota che è stata incisa nella lingua pelasgo-illirica, come nel resto dei territori euro-mediterranei, ed è perciò evidente che si comprende solo attraverso l’albanese, ecco qui di seguito la traduzione

Questa iscrizione interamente bustrofedica, dove si possono leggere continuamente le lettere “TH” e “H”, per rappresentare sospiri e singhiozzi, come noi faremmo oggi “AH” e “OH”, contiene un tormentato lamento funebre, ovviamente per la morte di un congiunto che era stato anche un grande eroe, come dimostra il ripetuto orgoglio di tutta la parentela. Riscriviamo ora la Stele in una forma più sciolta adattandola ai tempi nostri:

“LUTTO, siamo in pieno lutto,
angoscia, disgrazia dappertutto,
donne coperte dal velo nero.
Lutto hai dato ai parenti, o parente!
Egli è della nostra stirpe, Ah!, Oh!
Ci è stato strappato via, che disgrazia.
Ma per quale colpa, questa sciagura?
Gelido è il suo trono d’oro, Ah!
Della sua fama fieri eravamo, Oh!
Lutto, lutto nel mondo intero,
strappandolo via, siamo stati decapitati!
All’improvviso ci colpì questo lutto, Ah!
Ahimè, per quale mai colpa? Oh!
Parente nostro egli fù,
ma perché con questo lutto ci colpì?
Nel lutto, nella disperazione, Ah!
Ci soffocano le lacrime, Oh!
Egli che ha fatto vivere la nostra stirpe,
per quale colpa, ora, la estingue?
Ah! Oh!
Oh! D’oro era Lui,
ferito da coltello, che disgrazia,
soffrì tanto, in silenzio,
senza mai proferire insulti!
Ah! Oh!
Tu, parente, ci hai decapitati, Oh!
Tu, la vita a noi piena di spine hai reso, Ah, Oh!”

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La parola “ZI” o “SI” (lutto) la troviamo, fra altre, anche in questa breve iscrizione, ma di notevole contenuto, in una stele al museo archeologico di FELTRE (Italia)

“Soffriamo di un lutto senza fine”

Bisogna tenere sempre presente che la ricchezza linguistica dei popoli è l’unico archivio documentario incontestabile, specie quando mancano altre prove, ma è soprattutto la principale testimonianza della creatività umana.

Diversi studiosi sostengono la tesi della monogenesi delle lingue, particolarmente durante questi ultimi 2 secoli, allorché il progresso delle comunicazioni ha dato alle persone la possibilità di muoversi con facilità e di avere contatti anche con popolazioni in zone molto remote.

Sono stati citati gli studiosi italiani Alfredo Trombetti, Elia Lattes e Francesco Ribrezzo i quali sono validi sostenitori di questa tesi, oltre che alla provenienza illirica dei popoli italici. Oltre agli autori Sopraccitati, vi sono altri studiosi , nonché tedeschi, austriaci, francesi ed inglesi che affermano l’origine illirica delle popolazioni italiche. Un particolare merito va al prof Zacharie Mayani, docente alla Sorbona, il quale negli anni 1970 ha pubblicato 3 grossi volumi, per sostenere che la lingua etrusca si interpreta solo attraverso l’albanese odierno. Per verificare la veridicità della sua scoperta, ha studiato l’albanese, prima a Parigi, quindi si è recato in Albania, per perfezionarsi. I tre volumi pubblicati da Mayani si intitolano: “Les Etrusques Commencent a Parler” , “Les Etrusques Parlent” e “La Fin Du Mystère Etrousque”.

Ad ogni modo, colui che per primo ha lanciato e diffuso l’idea della monogenesi delle lingue fu Sir William Jones (1746-1794), famoso orientalista che alla fine della sua intensa vita conosceva 28 lingue. Comunque, nei nostri giorni, il sostenitore valido di questa tesi è il prof. Colin Renfrew dell’università di Cambridge, che nella sua opera “Archeaology and Linguistics” pubblicata nel 1989, scrive:

“La ragione principale della pubblicazione di questo mio lavoro è per mettere in evidenza che gli archeologi di questi ultimi anni, per ricomporre il passato non hanno preso nella dovuta considerazione la testimonianza della linguistica”.

Nel nostro globo, vi è sempre un’orizzonte, oltre il quale non è possibile vedere. Così, per quanto riguarda l’antichità, il nostro orizzonte sono i Divini Pelasgi. Essendo stati loro i primi inventori della scrittura fonetica, non possiamo negare che la vera cultura comincia con i Pelasgi, come d’altronde abbiamo appreso da vari autori dell’antichità.

Leggiamo ora alcuni documenti epigrafici rinvenuti dall’Egeo all’Atlantico, dove si menzionano le parole Pelago-illiriche YJ, ARNO, REZE ed altre, sempre con lo stesso significato.

Cominciamo inizialmente con le iscrizioni che si trovano oggi in Albania:

Su questo stupendo tempietto della città-stato di Apollonia, si trova una bella iscrizione del III secolo a.C che narra di stelle (YJ) e di un bambino (FIMI). Leggiamolo:

“Il bimbo che è stato affidato a questo Tempio, ora è Deificato”

<<Sia per il bene>>

Dopo aver letto questa iscrizione dell’Illirica, che, senza dubbio, corrisponde alla parlata odierna albanese, concentrata l’essenza del proprio significato, ora leggiamone un’altra ugualmente bella, di Durazzo, che come la precedente narra di Deificazione (YJNERIM, al sostantivo) e che appartiene al II-I secolo a.C:

“Deifica (la sua anima, Signore), fa che appartenga alla Tua dimensione”

<<sia per il bene>>

Erodoto ci ha spiegato che, prima dell’arrivo dei Greci, quel territorio si chiamava PELASGIA. Ci ha anche raccontato che i Greci impararono dai Pelasgi l’arte della lavorazione dei metalli, la costruzione delle mura, la scrittura che raffinarono e che fino alla scoperta del latino, fu l’unica scrittura divulgativa. Ancora oggi, nei vari musei dell’albania vi sono epigrafi redatte con l’alfabeto greco, il cui contenuto si comprende tuttavia non con la lingua greca, ma con quella albanese, ad eccezione dei neologismi frattanto formatisti. Ad ogni modo, più avanti leggeremo interessantissime scritture.

Ora stavamo trattando le iscrizioni che contengono le parole YJ (stelle) come già visto, nonché quelle con ARNO (Creatore) e REZE (raggi).

Dato che parliamo della monogenesi delle lingue, ritorniamo a questa riva dell’Adriatico e leggiamo nel museo archeologico di Siena questa iscrizione che si trova su uno stupendo sarcofago, dove peraltro si trovano insieme tutte e tre le parole che intendiamo trattare (YJ, REZE e ARNO).

Dai bassorilievi che compongono il sarcofago, con i personaggi in stato di meditazione e con la Dea VEND (Patria) al centro, si può facilmente dedurre che la scrittura ha contenuto cosmogonico:

Vediamo ora la traduzione

Come si sa, RESA chiamavano se stessi gli etruschi, Ora componiamo questa iscrizione nella sua forma dinamica odierna:

“Arno, (Creatore), poiché tu per noi sei nelle stelle, meriti la commemorazione di tutti i RESA (Etruschi)”.

La parola “ARNO” oggi la troviamo solo nella lingua albanese con un significato declassato di “restauratore”, però, restaurare una cosa danneggiata, significa “ricrearla”, quindi l’interpretazione della parola ARNO in questa e in moltissime altre iscrizioni dell’Etruria penso sia valida.

Inoltre, vi è il ben noto fiume ARNO che bagna, fra altre, la fiorente città di Firenze: e noi sappiamo che le civiltà sono sempre nate vicino a fiumi importanti.

YJ (stelle): neanche questa parola è stata trovata in altre lingue, tranne che nell’albanese, pur essendo molto comune nei documenti epigrafici dell’antichità, dall’Egeo all’Atlantico.

YJ, YJNOR, HYJNERON sono termini provenienti dal pelasgo-illirico-etrusco. Infatti, se ne trovano in abbondanza nelle loro iscrizioni, ma oggi si usano solo nella lingua albanese. Da questo si può dedurre che le varie forme di YJ potrebbero essere di origine proto-indoeuropea. E si può arrivare a questa conclusione prendendo in considerazione tutte le altre lingue indo-europee che non chiamano “YJE” le stelle, bensì: Sanscrito(Astra), Italiano(Astri:stelle), Spagnolo(Estrella:estreja), Portoghese(Estrema), Inglese(Stars), Greco(Astro-Asteri), Romeno(Stea e Vedeta), Persiano (Setareh), Tedesco (Stern).

Nella Penisola Iberica si trovano iscrizioni molto simili a quelle dell’Illiria e dell’Etruria, incise con l’alfabeto pelagico-fenicio e si interpretano sempre attraverso l’albanese.

Abbiamo menzionato le iscrizioni con la parola YJE e derivate. Ora, per rimanere nel tema, tra le altre iscrizioni del Portogallo del Sud, scoperte ai primi del XVIII secolo e finora mai decifrate, vediamo questa epigrafe che appare sulla stele n.22:

“L’ho dedicato alle divinità quando ero ancora in vita”

6 Risposte a “Enigma dei Pelasgi e degli Etruschi, Albanesi”

  1. Secondo il mito, la storia linguistica dell’umanità ha il suo punto d‘inizio nel crollo della torre di Babele, nella confusio linguarum, dal vocio di idiomi e dialetti tra loro incomprensibili, rimasti dopo il fallimento del sogno della torre. Una confusione di lingue a cui nel tempo si è saputo fattivamente rimediare, ed è per questo che la storia ha potuto andare avanti, essendo la comunicazione condicio sine qua non per il progresso.
    Il mito non è un racconto interamente falso, ma, un racconto vero che passando da un popolo a un altro di lingua diversa, si corrompe, colpa l‘omofonia di vocaboli pertinenti a due diverse lingue. I racconti della mitologia ci presentano avvenimenti indubitabili, personaggi con nomi semitici. Quei racconti vennero rifatti dai Greci, i quali si comportarono come farebbe un poeta italiano che iniziando a tradurre in versi un poema russo o polacco, ed imbattendosi in nomi di personaggi cui solo un cavallo potrebbe pronunciare, li cambia, e li traduce liberamente, spesso aggiungendo del suo, e, se deve rifare il lavoro straniero, lo falsifica adattandolo al gusto e alle idee della sua nazione. Possiamo riconoscere quindi che i popoli Greci invadendo l‘Europa semitica, ne adottarono in principio la religione o, se non altro, i nomi degli Dei, finche‘ se ne formarono una propria, nella quale rimasero alcuni elementi di quelle dei popoli vinti. I Greci stessi, credevano e confessavano che gli dei non erano eterni e che prima dei loro avevano regnato altri dei più potenti. Quelli più potenti altri non erano che gli Dei semitici.
    Controverse sono le opinioni di illustri studiosi sui Pelasgi. Alcuni argomentano che il genere umano, propagato per opera degli Otto Noachidi, si dispersero dopo la costruzione della Torre Babelica ai tempi di Phaleg (che vuol dire divisione, era figlio di Heber da cui discesero gli Ebrei), e a quegli uomini dispersi fu dato nome di Pelasgi. Costoro potevano essere divisi in tre famiglie:
    • 1 Pelasgi–Dardani, i quali, essendo Dardano lo stesso che Noè, ebbero come loro prima sede i monti Goridei tra le sorgenti del Tigri e l‘Eufrate, successivamente si sparsero nella Bitinia, nella Troade e nella Colchide;
    • 2 Pelasgi–Arcadi, ai quali, la loro prima patria fu la citta di Accad edificata da Nembrod, nella regione di Campegene e Caonia;
    • 3 Pelasgi–Atlantidi, che dalla Siria, non lontano dalla sede di Prometeo Caucaso (Scizia), si disseminarono nell‘Arabia e lungo il settentrione dell‘Africa, ove a monumento del loro nome è rimasto il monte Atlante e l‘Oceano Atlantico. Di queste anzidette tre famiglie di Pelasgi, fu successivamente popolata la nostra Europa, e, vennero in Italia passando per la Grecia, l‘Epiro e per l‘Illiria.
    I nomi dei nostri paesi sono ebrei, perché i Pelasgi erano ebrei.
    Nell’età del bronzo i Semiti, cioè, gli Ebrei, hanno popolato l‘Europa. Gli Etruschi erano ebrei e appare dal loro alfabeto, dalla loro dottrina cosmogonica uguale a quella di Mosè, dell‘uso dell‘inumazione, dalle figure alate ad uso assiro, di Dei, di Genii, di Sfingi, e di Grifoni, dagli scudi, dalle corazze, dalle armi somiglianti a quelle di Ninive.
    Tre popoli semitici hanno incivilito l‘Occidente, i Fenici, i Luditi o Ferisei di Terra Santa, e gli Hycsos del Basso Egitto. Fenicia è la Sicilia, libica la Sardegna, feresea e fenicia è la Spagna, sidonia la Francia ad occidente, tiria ad oriente, libica ossia ligure a mezzogiorno. L‘Inghilterra è egiziana, l‘Irlanda è fenicia, la Germania con tracce semitiche tracciate dal commercio dell‘ambra e dello stagno. Così incivilendo l‘Occidente d‘Europa, i Semiti continuarono l‘opera compiuta in Grecia ed in Italia col nome di Pelasgi, Ciclopi, Cureti, Telchinii, Dattili e Tirreni. Essi partirono dalle coste orientali del Mediterraneo, dall‘Aramea, da Cipro, dal Libano, dal Basso Egitto, e specie dalla Terra Santa e dal paese di Canaan.

    1. Gli ebrei sono Egiziano seguaci del primo dio-sole ATON/ADONAI. Akhenaton il faraone che voleva far fuori la potentissima casta dei preti del politeismo tento l’introduzione del Dio-Unico-Sole Aton, che esercitava il suo potere sulla terra tramite il faraone (stesso concetto tutt’ora per i Re). Akhenaton quindi venne considerato il padre della prima forma di monoteismo. Il quale, per avere una transizione pacifica della nuova religione dovette accetare compromessi con i vecchi Dei, almeno quelli piu potenti. E quindi del Dio Amon e RA, Akhenaton divenne il primo padre del monoteismo, ovvero AB=Padre RA=Dio Ra = AM=Amon, cioe AbRaAm. La citta del Dio sole si costrui nel odierna el Amarna, ma Akhenaton fu destituito e cacciato con i suoi fedeli fuori dall’Egitto. La stessa parola ATON significa AT= Padre ON=Sole .

    1. Gli Etruschi non erano albanesi ma, la lingua etrusca ha molti punti in comune con la lingua albanese di oggi. Esempio:
      Etrusco Albanese Italiano
      zemla zemra cuore
      Nel senso accarezzevole – tesoro mio, cuore mio
      uthina u thin si spacca
      Nel senso – vasellame, fragile, si può spaccare.
      Parole trovate nei bassorilievi etruschi.
      Altro esempio: Il Dio etrusco: Tin Tin Tin ( i dei tiravano fulmini ecc)
      In albanese il fulmine cosa fa:
      veteTIN – emmette lampi
      shkrepeTIN – scopiando un kre,kre potente
      osheTIN – tuona.
      Ed ecco il: TIN TIN TIN
      Come queste spiegazioni ci sono decine in internet. Gli albanesi si stanno svegliando!

  2. Articolo molto interessante e ben costruito e chiaramente descritto ogni dettaglio. Nel passato ho fatto delle ricerche su questo argomento per poi trovare molte risposte delle mie domande tra i vostri articoli. Congratulazioni a “The Lost Truth”.

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